mercoledì 17 luglio 2013

"Il più bel gioco della mia vita"

Oh, sì! Ho un Blog. La prima e unica volta che ho scritto un post qui era lo scorso anno. Bella roba, e?! In ogni caso, eccomi tornato. Stavolta, vorrei parlarvi di un film che mi ha colpito molto: "Il più bel gioco della mia vita", diretto da Bill Paxton che ha riadattato per il cinema il romanzo di Mark Frost "The Greatest Game Ever Played".
Racconta la storia VERA dell'incredibile impresa del giocatore di golf dilettante Francis Ouimet, che vinse gli U.S. Open nel lontano 1913. A quell'epoca, il Golf era uno sport per soli ricchi, nobili e benestanti. Le persone dei ceti più bassi non potevano nemmeno sperare di avvicinarsi ad esso. Nella campagna americana un giovane ragazzo, Francis (interpretato dal monumentale Shia LaBeouf) coltiva la grande passione per questo sport. Fin da piccolo, il padre lo stimola a non deviare i suoi pensieri dall'unico cammino che gli spetta, il lavoro, soluzione ai tanti problemi di una famiglia povera. Francis ubbidisce con devozione al padre, ma la sua passione ben presto busserà forte dentro di lui. E così, a soli 8 anni si avvicina al golf svolgendo il ruolo di "caddie" nel Golf Club locale e coltivando il mito di Harry Vardon, il più grande giocatore dell'epoca che ebbe la fortuna di incontrare e rimanerne affascinato. Inoltre, si arrangia dove e come può per giocare in solitaria a golf. La mamma fortunatamente lo stimola e per anni lo aiuta a crescere con la speranza di poter giocare, un giorno, nei campionati riconosciuti. Più tardi, Vardon e altri campioni vengono reclutati per sfidarsi agli U.S Open d'America dove, per la prima volta, gli organizzatori decidono di includere un giocatore dilettante. Incredibilmente, viene fuori il nome di Francis, che però, ha promesso al padre di non giocare mai più a golf. Così, in un primo momento Francis non accetta la straordinaria offerta, ma in seguito ci ripensa e chiede di poter essere ammesso ancora. Così è.
Francis, inizia un duro allenamento per farsi trovare ben preparato davanti ai mostri sacri del golf che incontrerà sul suo cammino. Un round dopo l'altro, dimostra di essere un talento raro e finisce sulle prime pagine di tutti i giornali. Il giorno dopo l'inizio del torneo il padre scopre che il figlio non ha mantenuto la parola data, lo invita a lasciar perdere ma ottiene risposta negativa. Infine, lo demoralizza promettendogli che quando tutto sarà terminato, dovrà cercarsi dove vivere da un'altra parte. Francis non demorde. Continua la sua scalata e raggiunge la vetta sempre più velocemente. I big si accorgono di lui, soprattutto Vardon, che inizia a temerlo sul serio. A mano a mano i giocatori vengono eliminati fino a quando, con estrema sorpresa, con i due veterani Vardon e Ted Ray (amico decennale di Vardon) resta a contendersi la coppa il giovane Francis. Il finale è avvincente! Francis riesce a tenere i nervi saldi e stare al passo impressionante dei due campioni. Giunti quasi al termine del torneo, Ted sbaglia un colpo e viene eliminato. Restano a contendersi il trofeo Francis e il suo mito Vardon. I due rimangono testa a testa fino alla fine. Incredibilmente Vardon sbaglia un colpo e Francis si porta in vantaggio. All'ultima buca, la tensione e l'emozione giocano un brutto scherzo a Francis che sbaglia un colpo facile. La partita, è nelle mani di Vardon. Con estrema calma, il campione inglese effettua il tiro, ma la palla, si blocca magicamente ad un millimetro dalla buca. Francis ha in mano la vittoria. Con estrema calma e l'aiuto del suo piccolo caddie a rimanere concentrato colpisce la palla...e la imbuca.
La folla esplode, il campione è battuto e Francis è il più giovane giocatore di Golf a vincere gli U.S. Open! Il delirio intorno a lui! La mamma fiera versa lacrime di gioia e tutti alzano al cielo le mani porgendogli banconote in segno di devozione. Mentre Francis raccoglie quel che può chiedendo al pubblico di darli al piccolo caddie che lo ha accompagnato e aiutato nel torneo, una mano spunta nell'enorme mucchio di persone intorno a lui. Francis rimane allibito quando si accorge che quella, è la mano di suo padre, che con gli occhi gonfi di lacrime e orgoglio, gli porge la banconota e gli sorride. Per Francis è il momento più bello.
Mentre scrivo sto realmente piangendo e non lo dico per chissà quale motivo, ma perché è un momento talmente toccante che a ripensarci mi commuovo davvero.
Ho voluto raccontarvi questa storia perché la sento molto e avevo piacere di condividerla con voi. Personalmente ho un sogno anch'io e spesso mi perdo nel trovare scuse sul perché non riesco a raggiungerlo mentre altri intorno a me lo fanno con poco sforzo. Non è di certo così che potrò realizzare i miei sogni. Quindi dico a voi e a me stesso, se abbiamo un sogno, per quanto lontano e irrealizzabile possa essere, abbiamo comunque la possibilità di lottare per raggiungerlo. Ci è stata donata una sola vita. UNA soltanto. Sprecarla a cercare scuse è sbagliato secondo me. Cerchiamo invece di fare il possibile per renderla così come la vogliamo. Lottare contro tutto e tutti fino all'ultimo. Se poi le cose non andranno come speravamo, non vivremo il resto dei nostri giorni con il rimorso di non averci provato pensando:"E se invece avessi tentato? Cosa sarebbe successo?"
Inseguite il vostro sogno. Sempre. VIVA LA VITA!

Dave


giovedì 20 settembre 2012

Fiume in piena

Ebbene sì, eccomi qui a scrivere il mio primo post sul mio primo blog alla veneranda età di 26 anni. Tra un mese 27. Non male, vero? Diciamo "meglio tardi che mai", insomma. Perché ho deciso di aprirmi un blog? Ecco. Questa è la domanda giusta (cit.). Diciamo, più semplicemente, che come tutti coloro che aprono un blog avevo una gran voglia di condividere pensieri e parole che spesso ripeto a me stesso, il quale, stanco di ascoltarmi mi ha detto:"Hai rotto i coglioni. Vai a romperli a qualcun'altro!" Ok. Per giorni e giorni ho pensato:"Che cazzo ci scrivo in un blog, io?" - "Quello che ci scrivono tutti!" - mi ha urlato Lui mentre se ne andava. Scusate l'eccessiva scurrilità già nelle prime righe ma sono del parere che una parolaccia completi al meglio il senso di un discorso quando lo si vuole imprimere in testa a qualcuno.
Detto ciò, vi racconterò velocemente la storia della mia vita, tanto per avere una un quadro completo della situazione.

Il giorno che sono nato pioveva, la Roma perse in casa col Torino ed era domenica. Pochi mesi dopo ci fu la "grande nevicata" che ricoprì la capitale con un metro di bianca neve senza nani. A quattro anni ho pronunciato, senza conoscerne il senso, la mia prima bestemmia. Non ne vado fiero, sia chiaro, ma per ovvie ragioni non dimenticherò mai quel giorno. A sei anni cadde il mio primo dentino e piansi così tanto all'idea che stavo crescendo che ci vollero cinque persone e due ore per calmarmi. A sette anni i miei genitori si sono separati e fortunatamente sono rimasti in buoni rapporti a differenza di tanti altri. A undici anni superai mia madre in altezza, non che ci voglia molto, ma fu un traguardo importante. A tredici, feci una delle più grandi cazzate della mia vita: fumai la mia prima sigaretta. Pessima pensata, la mia. A quattordici anni presi una cotta tremenda per una ragazza più grande di me, fidanzata, che riempiva di maestose corna il partner durante la ricreazione e l'uscita da scuola. Con me, ovviamente. A quindici anni, mia madre scoprì che fumavo. Vorrei raccontarvi nei dettagli l'accaduto ma mi dilungherei troppo. Da qui ai diciotto, ricordo solo una serie di cazzate col motorino, compresa una bella impennata finita male, davanti alla ragazza che mi piaceva. Epica figura di merda. Patente, scorrazzate con la macchina, seghe a scuola (e non capite male!) e il quinto anno, che passai di merda perché la ragazza con la quale ero fidanzato da un anno mi lasciò da un giorno all'altro. Poi, dopo essermi diplomato per sbaglio, iniziai a lavorare. E "udite, udite" il mio primo giorno di lavoro fu il giorno del mio diciannovesimo compleanno. Mazzata. Facevo il barista all'autogrill, ma durò un mese. D'inferno, aggiungo. Poco dopo, conobbi la ragazza con la quale condivido la mia vita da ben sette anni. E vi dirò, è tra le cose più belle che potranno mai accadermi nella vita. Non accusiamo assolutamente il tempo trascorso insieme e ci amiamo come il primo giorno che abbiamo capito di essere innamorati l'uno dell'altra. Cuore. E arriviamo ad oggi, 20 Settembre 2012. Mancano novantuno giorni all'ipotetica fine del mondo e sto bevendo un buon caffè mentre scrivo e penso al mio futuro. Un futuro incerto, direi. Questo paese non offre molte possibilità di renderlo roseo quanto altre nazioni civilizzate. Ma non parliamo di questo, altrimenti rischio di incazzarmi e di spaccare il pc prima ancora di aver terminato questo post.

Parliamo del futuro. Affascinante quanto spaventoso, il futuro è oggetto di svariati studi sotto ogni punto di vista; da quello scientifico a quello psicologico, esso fa parte della nostra vita e delle nostre azioni, angosce e pensieri, tanto quanto il presente e il passato. Con la differenza che non abbiamo idea di cosa aspettarci. Il passato lo abbiamo vissuto, il presente lo viviamo, ma il futuro...possiamo solo immaginarlo. Arrivato a questo punto della mia vita, della quale non mi lamento più di tanto perché so per certo di essere molto più fortunato di tanti altri, inizio a tirare le prime somme. Inevitabilmente penso alle scelte che ho fatto, alle decisioni che ho preso e che mi hanno portato fin qui. Erano giuste? Erano sbagliate? L'una e l'altra indubbiamente. La vita, a parer mio, è fatta di scelte. Ogni attimo di essa noi facciamo una scelta. Che sia alzarsi o meno dal divano per prendere il telecomando rimasto, ovviamente, da tutt'altra parte fuorché vicino a noi; che sia prendere l'auto anziché i mezzi pubblici per andare a lavoro il sabato mattina o acquistare un qualcosa al di là delle nostre possibilità...noi facciamo una scelta. Costruiamo un percorso che man mano ci porta ad essere quel che siamo. E inevitabilmente penso alle parole del famoso "soldato Ryan" nel celebre film di Spielberg, in cui proprio lui, oramai anziano, torna sulla tomba del capitano che fu spedito a salvarlo e che morì per difenderlo e si chiede se abbia meritato di sopravvivere. Concetto un po' pesante per uno che ha 27 anni ma che spiega al meglio il mio attuale stato d'animo, ossia: sto facendo bene? E' giusto il percorso che finora ho intrapreso? Quello stesso percorso che, in verità, può cambiare da un momento all'altro. Basta una SCELTA per modificarlo e cambiare totalmente rotta. E' così. Che lo vogliamo o no, ce ne rendiamo conto o no, potremmo aver fatto o faremo una scelta che ci porterà sulla via totalmente opposta. Ed eccoci arrivati al momento più importante di questa scialba lettura: il fiume in piena. Il titolo del post, a primo impatto, può lasciar pensare che inizierò a vomitare personali conclusioni su qualcuno in particolare ma non sarà così. In realtà è il paragone che personalmente mi sento di fare con la vita.

Immaginatela come un fiume. Dalla sorgente, dove nasce piccolo e fragile e dove al minimo ostacolo può interrompersi, che scende giù facendosi strada nella terra, creando argini attraverso i quali scorre libero verso la fine. Ecco, ora immaginate di essere immersi nelle sue acque, siete parte di lui, cullati dalla sua dolce corrente, vi guardate intorno e imparate a conoscere il paesaggio che vi circonda man mano che lo attraversate. Altri fiumi si uniscono al vostro nello stesso modo in cui altri si staccano per prendere strade diverse. In molti casi il percorso è buio e spaventoso, in altri splendente e amorevole. Ma ad un certo punto, accadrà qualcosa che cambierà tutto. Il fiume sarà in piena e le sue acque diverranno tutt'a un tratto burrascose. Questa potrebbe essere la prima grande scelta della vostra vita. Sì, perché vi troverete ad affrontare qualcosa di cui conoscevate l'esistenza, ma avete sempre sperato di non dover mai fronteggiare: il grande salto. Lo immagino così. Una cascata alta e prorompente che al solo pensiero di doverla affrontare ci spaventiamo e d'istinto ci aggrappiamo alle forti radici che fuoriescono dagli argini. Non è dato sapere in quale momento della nostra vita dovremo affrontarlo. Può essere quando siamo piccoli, o magari quando siamo già in età adulta o magari ancora non sarà l'unico. La sola cosa certa è che la corrente è forte in quel punto del fiume e facciamo fatica a rimanere aggrappati. Ma dobbiamo scegliere, scegliere se tenerci forte a quella radice sperando che non si spezzi mai, perché la paura di saltare è tale da non darci speranza, oppure lasciarsi andare, affrontare la cascata, il grande salto, con la convinzione che ce la faremo! Che non per forza sarà la fine! Magari sarà solo l'inizio di una nuova avventura. Non possiamo saperlo questo. Molti restano aggrappati alla radice e vivono il resto della vita col pensiero fisso:"E se avessi saltato? Se fosse andata diversamente?" Altri si fanno forza e si lanciano. Alcuni ce la fanno. Altri no perché, a mio modo di vedere, non ci hanno creduto abbastanza. La domanda fondamentale è: Voi...saltereste o rimarreste aggrappati?

Ecco. Io sono lì. Aggrappato già da un po' a quelle radici e scruto la cascata con molta preoccupazione. Ma sento che è ora di decidere. Lo sento. E' come quando hai una brutta sensazione, quando ti innamori o quando tua madre è giù di morale, lo senti nell'aria. Devo scegliere. Se aspettassi ancora potrei non crederci come farei in questo momento e quindi, devo darmi una mossa. So che la strada verso il mare è ancora lunga e non è detto che sia il solo salto, la sola grande scelta che farò ma devo farlo. Spero davvero di riuscirci...il prima possibile.

Concludo il mio primo post con questo video che, per banale e scontato che possa sembrare, mi rilassa parecchio. Spero faccia lo stesso effetto a voi. :)